Ritorno alla voragine dello Zemblen

Ritorno alla voragine dello Zemblen

Loch '90 - '91 - Speleologia in Altopiano

30/08/90. Torniamo allo Zemblen dopo oltre 17 anni. Vi eravamo scesi per la prima volta nel lontano 1973. Era stata, per il nostro gruppo la prima vera discesa in un "buso serio". Io, a quei tempi, ero il più anziano di tutti, avendo già fatto i 17 anni.

Questa grotta, con i suoi 52 metri di profondità, rappresentava per noi un traguardo importante. L'anno precedente era stato l'anno della fondazione del nostro gruppo nel corso del quale avevamo esplorato il Buso del Prunno (10) e il Buso del Poslen (-15). Della voragine dello Zemblen ci aveva parlato il Silvano Jungar che nel '52 aveva partecipato all'esplorazione della cavità e al successivo recupero di tre salme, due uomini e una donna, probabilmente uccisi e gettati nella grotta nel tragico periodo della lotta partigiana. Avevamo avuto modo di vedere il rilievo fatto in quell'occasione dal GG Asiago che dava la cavità profonda 62 metri e la discesa ci sembrava ormai alla nostra portata.

Per tutto l'inverno 72-73 avevamo lavorato alacremente per migliorare tecniche e attrezzature costruendo ottanta metri di scalette ed eravamo riusciti, con duri risparmi sulla paga che i genitori ci davano la domenica, ad acquistare la nostra prima corda da alpinismo, una dinamica da 40 metri rossa fosforescente. Attendemmo il disgelo con ansia e già a febbraio salimmo varie volte il Monte Interrotto per controllare la quantità di neve che circondava l'ingresso della voragine. Finalmente la primavera arrivò e verso fine giugno organizzammo una vera e propria spedizione.

Nessuno di noi, a quei tempi, possedeva alcun mezzo di locomozione e trasportare tutto il materiale necessario per l'esplorazione lungo i ripidi tornanti che conducono al Forte Interrotto sul nostro carretto a mano ci sembrava quantomeno arduo. Contattammo perciò il padre di Ugo Pernechele, un nostro simpatizzante, che per la modica somma di lire 1.500, provvide a trasportare tende, sacchi a pelo, scalette, corde, telefoni e altro con il suo motocarro Ape, fino all'ingresso della mitica voragine.

Eravamo almeno una quindicina di adolescenti con i nostri cinturoni da impresa edile e i caschi da cantiere con illuminazione elettrica. L'esplorazione ci impegnò per due intere giornate e fu, per i nostri mezzi, alquanto impegnativa. Essendo la grotta formata da quattro pozzi occorreva essere in parecchi in quanto sopra ad ogni pozzo dovevano rimanere almeno due persone per fare sicura. Non mancarono naturalmente gli inconvenienti: Giliano, in quel periodo, aveva la tosse canina (o pertosse) e sia durante la discesa come nella risalita fu preso da violenti attacchi che lo fecero a più riprese vomitare mentre stava appeso alla scaletta. Lascio a voi immaginare il giusto disappunto di coloro che in quei momenti si trovarono loro malgrado di sotto.

Avvenne poi che durante la risalita del P25, Stefano Jungar, nell'occasione in maglietta con maniche corte, rimase con un moschettone agganciato ad un piolo della scaletta. Dopo molti tentativi falliti dal suddetto di liberarsi da solo, toccò al buon Loris (evidentemente già in quei tempi aveva la vocazione del soccorritore) risalire sulla scala per una decina di metri e senza sicura per sganciarlo. Nonostante queste vicissitudini, raggiungemmo in qualche modo il fondo della cavità e ne facemmo il rilievo. A ricordo di quella esplorazione ci restano alcune foto di gruppo esterne e qualche altra fatta sul fondo.

Per molti anni nessuno tornò più allo Zemblen fino a quando, l'anno scorso, Giglio decise di andare a fare un giro in quella grotta di cui avevamo tanto parlato. Arrivato alla base del secondo pozzo fu costretto alla ritirata dall'odore nauseabondo emanato dalle carcasse di tre bovini in putrefazione. Fece comunque in tempo a notare che dalla strettoietta che immette nel terzo pozzo usciva un po' d'aria.

E veniamo così alla fine di agosto del '90. Approfittando delle ferie di cui qualche fortunato dispone decidiamo di verificare l'esistenza di una eventuale prosecuzione ed entriamo in grotta con le nostre famigerate attrezzature per le disostruzioni. Sul fondo, si sente in effetti una leggera corrente d'aria e proviamo a scavare in più direzioni. Abbiamo la sensazione di stare su di un gran tappo di frana sospeso sorretto probabilmente dai moltissimi e tetri tronchi che si vedono infilati nella frana in ogni verso e direzione. Sembra quasi impossibile che questi tronchi, alcuni dei quali hanno un diametro che arriva al mezzo metro, possano essere precipitati sino al fondo in quanto l'apertura che mette in comunicazione tra di loro il secondo e il terzo pozzo non è certo grandissima.

Scaviamo per un paio d'ore scendendo per due metri all'interno del tappo di frana. Qui altri tronchi incastrati tra i detriti rendono impossibile lo scavo. Per rimuoverli occorrerebbe usare una motosega oppure spostare qualche decina di metri cubi di massi e tronchi che stanno sopra. Rassegnati torniamo verso l'uscita. Mentre attacco la maniglia alla corda guardo un'ultima volta la scritta che molti anni prima avevamo lasciato su una parete del pozzetto bene in vista: G.G.G * mt.-52, 29/5/73 (* Gruppo Giovanile Grotte).

P. Rigoni Zurlo