Obelix
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Obelix
3499 V VI

Esplorato da

Gruppo Speleologico Settecomuni

Rilievo Topografico

Pierantonio Rigoni Surlo

Coordinate WGS 84

45° 48' 41.96" N, 11° 35' 37.38" E

Coordinate M. Mario

45° 48' 42" N, 0° 51' 25" W

Specifiche

  • Anno: 1987
  • Numero Catastale: 3499 V VI
  • Area Carsica: SC05
  • Sviluppo: 927/-400
  • Quota s.l.m.: 960
  • Località: Val Ceccona
  • Comune: Lusiana
  • Provincia: Vicenza

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Lusiana - SC 05 - Val Ceccona

Posizione sulla mappa

La posizione potrebbe essere solamente indicativa.

Storia esplorativa

OBELIX 1987
Erano i giorni della caccia all'aria e lo specialista Sergio non si faceva certo pregare percorrendo in lungo e largo la vasta zona sovrastante la contrada Abri-Sassi, zona peraltro poco distante da casa sua. Individuò subito quello stretto pozzetto che qualcuno aveva ostruito con dei grossi massi in quanto si apriva proprio al lato di un sentiero. L'aria che filtrava tra i massi non lasciava dubbi e qualcuno, qualche giorno più tardi, disse la solita frase: "qui c'è sotto qualcosa".

E fu così che i grossi massi vennero rimossi lasciando intravedere un pozzetto di pochi metri. A questo ne seguì un altro, molto concrezionato che chiudeva. Però tra i due pozzetti, sul lato ovest, un fessuretta obliqua lasciava uscire l'aria e naturalmente lasciò entrare noi.

Ma ahimè, dopo qualche metro di strettoia agevole per i contorsionisti, il tutto diventava un tubo di venti centimetri di diametro e lungo parecchi metri da cui l'aria usciva rumorosa.

Si sarebbero, a quel punto, potuti rilevare quei pochi metri di grotta e buonanotte al secchio. Ci imbarcammo invece in un lungo e faticoso lavoro di disostruzione che ci vide per molte settimane sputar sangue nell'allargare quella piccola e quasi inesistente condotta.

E fu così che dopo circa due mesi riuscimmo a passare vedendo premiati tutti i nostri sforzi. Oltre la strettoia la grotta si rivelò stupenda e nessuno ebbe più il coraggio di recriminare sul sudore versato.

In un paio di uscite scendemmo a -100 m. dove una nuova strettoia ci fermò su un P. 10 però solo momentaneamente.

Successe anche che durante l'ultima esplorazione qualcuno dei nostri faticò non poco ad entrare nel cunicolo a -12 m. e ne uscì soltanto dopo una lunga serie di tentativi.

In effetti il passaggio era ancora strettino tanto che si doveva passare senza imbrago e sbucare in libera nella parte sommitale del P. 15 successivo. Decidemmo pertanto di disarmare la grotta per poi riprendere a primavera i lavori di ampliamento.

OBELIX 1988
Siamo ormai alla metà di giugno e torniamo all'attacco più decisi che mai. Ci vorranno però ben tre domeniche per rendere umano il cunicolo a -12 m. e altre due per la strettoia a -100 m. Il 25 settembre finalmente si passa e troviamo subito una piacevole sorpresa: quello che avevamo creduto un piccolo pozzetto si rivela un bel meandro nel quale siamo entrati da una finestra laterale. Da qui in avanti la morfologia cambia completamente per diventare molto simile a quella degli Abri-Sassi. Non più pozzi franosi ma meandri spesso molto alti col fondo interessato da un lieve scorrimento d'acqua, marmitte e frequenti approfondimenti con pozzi a cascata coperti completamente da colate calcitiche. Arriviamo così a -203 m. dove le esplorazioni e il rilievo per il momento si fermano, ma non la grotta che continua con un meandro.

Dal quaderno dell'attività

24-25 marzo 1990
Part. Azzolini G., Ronzani S., Vellar L., Rigoni A., Rigoni P.

Entriamo alle 19 di sabato e in un paio d'ore siamo al salone di -220. Io e Sandro iniziamo a rilevare mentre gli altri vanno a migliorare gli armi dei saltini successivi che erano effettivamente un po' troppo esplorativi. Alle due di domenica siamo sulla sommità del pozzo inesplorato a -280. Il pozzo è subito molto ampio e si rivelerà un P32. La parete ovest lungo la quale si scende, è completamente ricoperta da una grande colata sulla quale scorre un sottile velo d'acqua che sul fondo alimenta un bel laghetto. Tale laghetto, profondo circa un metro, occupa completamente la base del pozzo e riceve da nord un ulteriore apporto idrico seppur modesto, proveniente da un meandrino che già dopo pochi metri diventa impercorribile. Verso sud una fessura strettissima e bagnatissima ne inghiotte rumorosamente l'acqua. Qui le nostre velleità esplorative subiscono un brutto colpo. Risaliamo mestamente dopo aver rilevato fino a -313.

Alcuni metri al di sotto della partenza del P32, oltre un'ampia cengia, avevo notato rilevando quello che avrebbe potuto essere un pozzo parallelo. Angelo, che risale per ultimo, dopo aver disarmato sotto, riesce dopo vari tentativi a pendolare. Il pozzo c'è effettivamente ed è profondo forse una ventina di metri ma ormai si è fatto tardi ed usciamo. Nel ritorno, guardando un po' in giro, scopriamo un nuovo ramo laterale che entra nel principale a -265. Si tratta di un meandro, a tratti ricco di colate e concrezioni che percorriamo in leggera salita per una cinquantina di metri, fino alla base di un camino. Riprendiamo la via dell'uscita che raggiungiamo alle 8,30 di domenica mattina.

15-16 novembre 1990
Part. Azzolini G., Ronzani S., Rigoni A., Rigoni P.

Partiamo alle 15,30 di sabato ed entriamo in grotta verso le 17. Sosta a -200 e alle otto di sera siamo a -287, sull'inesplorato. Nell'ultimo tratto sub-orizzontale notiamo che l'acqua di scorrimento è aumentata. La nuova via che stiamo per percorrere non è invece interessata da alcun scorrimento e sembra del tutto fossile. Ne avremo conferma più avanti dove troveremo varie marmitte riempite di fango e ghiaia. Scendiamo con un tiro unico un P11 e un P6 in serie e subito dopo un altro saltino di tre metri. Oltre, il meandro, mai strettissimo, prosegue degradando per un'ottantina di metri per gettarsi poi in un bel P10, molto ampio e a sezione circolare. Armarlo non è affatto semplice in quanto la roccia si presenta completamente marcia e nerastra. Angelo riesce a mettere in qualche modo un paio di spit e scendiamo.

Anche qui, il fondo è completamente coperto da ghiaia e di acqua neanche l'ombra. Facciamo un'altra sosta per mangiare un panino e poi ripartiamo, io e Sandro con il rilievo, Angelo e Giglio avanti ad armare. Dopo il P10, il meandro continua in direzione SE scendendo leggermente e mantenendo discrete dimensioni. In alto, il soffitto non si vede quasi mai, dato l'andamento tortuoso della volta. Dopo circa cinquanta metri, incontriamo un P15 ancora più ampio del precedente. Altro armo rognoso e poi giù. Qui, a -370, sospendiamo il rilievo in quanto sono già passate le due. Diamo un'occhiata in giro e vediamo che dal salone si dipartono due meandri distinti. Uno, posto nella parte alta della frana, prosegue verso S-S-E, seguendo la direttrice principale della grotta.

Angelo lo percorre per una decina di metri ma poi desiste in quanto diventa un po' stretto e pieno di massi pericolanti. L'altro, si diparte dal fondo della frana e sembra andare verso Ovest. Qui la morfologia cambia completamente, le pareti del meandro non sono più lisce ma piuttosto frastagliate e taglienti e sul pavimento, entro le marmitte, si rivede un po' d'acqua. Avanziamo ancora in opposizione perché il fondo del meandro è molto stretto. Abbiamo la netta sensazione di essere tornati sull'attivo e infatti, percorse poche decine di metri risentiamo il rumore dell'acqua. Poco oltre, ecco apparire la cascata che da un meandrino molto concrezionato si getta nel ramo principale. Pensiamo si tratti dell'acqua che non avevamo potuto seguire oltre il laghetto di -313 e che attraverso un percorso a noi sconosciuto è riconfluita nel tratto che stiamo percorrendo.

Sono ormai le tre e paghi per quanto abbiamo fatto decidiamo di tornare indietro. Thè a -200 e poi fuori. Usciamo alle 9 di domenica mattina. Passare dai +8°C della grotta ai -15°C esterni è piuttosto drammatico. Siamo bagnati fino all'osso per cui dobbiamo spogliarci completamente ma vi assicuro che è questione di secondi.

P. R.

22-23 giugno 1991
Part. Silvagni G., Ronzani S.

Ancora una volta ci troviamo all'ingresso dell'Obelix pronti a vivere una nuova avventura. A differenza delle passate esplorazioni, a partecipare a questa spedizione siamo solo in due: il Giacomo ed il sottoscritto.

A dispetto delle apparenze, però, i nostri intenti sono piuttosto ambiziosi. Vogliamo scendere al precedente limite esplorativo posto a - 370 portando appresso circa 80 metri di corda, materiale d'armo, viveri e, per fare le cose in grande, anche due macchine fotografiche. La discesa procede bene, anzi, ci dilettiamo a scattare foto a destra e a sinistra non trascurando di sperimentare nuove tecniche di fotografia "subacquea".

Giungiamo così senza problemi a quota - 370 e qui banchettiamo deliziosamente, operazione questa, utile per alleggerire i sacchi, ma controproducente per noi, in quanto "trasferisce" solo il peso nelle nostre pance.

A questo punto il programma prevede l'esplorazione di due nuove vie. Dopo la constatazione che la via più promettente (corrente d'aria) è quella situata nella parte alta della sala, ci infiliamo per giungere subito nel punto in cui l'Angelo, la volta precedente, era stato respinto. Guardatici attorno ed agendo d'intuito, rimuoviamo del materiale posto sul pavimento ed abbiamo fortuna: ci troviamo di fronte un by-pass che ci permette di percorrere ambienti inesplorati fino a giungere sul bordo di un pozzo di circa
10m il quale inghiotte tantissima aria e con essa anche la nostra foga esplorativa. Diamo un'occhiata agli orologi: è tardi e dopo aver riflettuto sul da farsi, la ragione prevale sull'impeto dei vent'anni ed imbocchiamo la via del ritorno. Pozzo dopo pozzo riguadagniamo terreno e ci avviciniamo alla ormai sospirata uscita.

Quando arriviamo alla base del P.50, pregustiamo già il ristoro di una buona tazza di cioccolato caldo ed il tepore delle coperte di casa.

Risalgo per primo la corda e velocemente, mi trovo già a metà pozzo, ma... all'improvviso un brivido mi percorre la schiena.

In un attimo tutte le cose care della vita mi passano davanti agli occhi come una meteora. Sento uno scricchiolio cupo ed insistente: accendo l'elettrico, alzo la testa e noto che sopra di me la corda è lesionata e si sta rompendo.

Con una manovra fulminea mi metto in sicura facendo un'asola.

Ora mi sento meno in pericolo e posso constatare che in un punto la calza esterna della corda è tranciata di netto e quindi sfilata dai trefoli per circa un metro e mezzo.

Valutata l'entità del danno, corro ai ripari e, ben conscio che anche il mio compagno deve pur risalire, rimedio all'inconveniente con una tecnica degna dei migliori manuali di speleologia.

Guadagnata (mai parola fu più appropriata) l'uscita e fatte alcune considerazioni sullo scampato pericolo, una volta a casa, deleghiamo ad un buon sonno ristoratore il recupero sia fisico che morale.

Personalmente, questo fatto mi ha provato, tanto che per i successivi quattro mesi, mi sono dedicato a fare solo quello che non ricordasse in alcun modo un pozzo da 50, per di più armato con una corda lesionata.

S. Ronzani

7-8 dicembre 1991

Si va ancora all'Obelix e stavolta siamo in cinque. Io, Angelo, Giacomo, Sandro e Giovanna. Loris lavora e forse ci raggiungerà nel pomeriggio. Le previsioni avevano dato neve ed invece stiamo risalendo la mulattiera che porta alla grotta in una giornata stupenda. Il cielo è limpidissimo e da dove ci troviamo possiamo vedere tutta la pianura veneta, il Monte Venda sembra vicinissimo e subito dietro si distinguono chiaramente gli appennini Tosco-Emiliani che disteranno da qui almeno duecento chilometri.

A sud-est luccica il mare di Venezia e si distinguono persino le gru e i fumaioli di Marghera. Di panorami così limpidi, da qui non ne avevo mai visti. Merito (o colpa) del vento che da più di due giorni spazza il cielo allontanando inesorabilmente le perturbazioni e la neve che tutti aspettano e che non vuoi più cadere. Ci vestiamo e diamo un'ultima controllatina al materiale da portare in grotta. Manco a dirlo, Angelo ha dimenticato il piantaspit sul tavolo del magazzino. Siamo già tutti pronti con l'imbrago e tutto il resto ma qualcuno deve pur tornare in sede a prenderlo. Ci andiamo io e Giacomo e ne approfittiamo per andare al Lux a farci un altro caffè. In un'oretta andiamo e veniamo e raggiungiamo gli altri sopra al P.50 dove Angelo sta cambiando la corda danneggiata nell'esplorazione precedente e ne approfitta per sostituire i moschettoni con dei Mayllon da 8. Infatti, dopo quanto abbiamo visto nelle prove fatte sui nostri moschettoni a Costacciaro, le nostre convinzioni in proposito sono un po' cambiate. Progrediamo tranquillamente, Angelo, Sandro e Giovanna davanti, io e Giacomo dietro a far foto. Arriviamo a -220 verso le tre, ci fermiamo a mangiare qualcosa e a fare ancora qualche scatto qua e là, nel salone.

Alle cinque del pomeriggio siamo a -370, nella sala del bivio. Altra pausa per scarburare, mangiare, fotografare, pisciare, ecc. Da qui si dipartono i due rami. In basso il ramo Ovest, sull'attivo, porta alla cascata ed è molto bagnato. Vi entriamo per pochi metri solo per prendere acqua. A quello alto, che va verso sud, ci avevano dato un'occhiata Sandro e Giacomo nel giugno precedente ed è quello da cui pare venire quasi tutta l'aria. Avanziamo per questo meandro, rilevando e la cosa ci appare subito un po' rognosa. Vi sono parecchi crolli e bisogna andare su e giù tra i massi per cercare i passaggi, spesso stretti, che portano sopra ad un saltino di 6-7 metri, limite della esplorazione precedente. Scendiamo nella saletta sottostante dove Sandro aveva creduto di vedere la nera sagoma di un pozzo che purtroppo non c'è. Mentre io e Sandro finiamo di rilevare e Giovanna si riposa, gli altri cercano la prosecuzione.

Trovano un piccolo arrivo che però dopo pochi metri diventa impercorribile. Bisognerà scendere al di sotto della frana per ritrovare il meandro che riparte alto e stretto e che purtroppo poco più avanti si restringe. Un po' delusi, torniamo nella saletta dove facciamo il punto della situazione. Sono le 19,30 e Giovanna e Sandro decidono di tornare indietro in quanto per uscire ci vogliono almeno cinque ore. Noi proveremo ad andare avanti ancora per qualche ora o almeno tenteremo. Lasciamo la corda da 80 e prendiamo solo uno spezzone di 10-15 metri che porteremo avanti rilevando io e Giacomo. Angelo andrà avanti ad allargare la strettoia ed eventualmente ad armare. Il meandro è molto alto ma anche qui è stretto e pieno di crolli. In qualche punto per avanzare un po' bisogna alzarsi di 4-5 metri e ridiscendere. Rilevare è al dir poco penoso ma sentiamo che più avanti Angelo non batte più per cui è sicuramente passato. Dopo pochi minuti lo sentiamo gridare che il meandro si allarga, ci sono molte concrezioni e forse un lago. Rileviamo alla svelta e in mezz'ora lo raggiungiamo. L'ambiente si fa più grande, con vari crolli sospesi. Angelo ci sta aspettando su un saltino di una decina di metri. Di fronte a noi, una bassa galleria sospesa si affaccia alta al di sopra di un laghetto che prende acqua da un arrivo che vediamo a malapena per la distanza.

Si tratta con ogni probabilità del ramo attivo che parte da -370, nella Sala del Bivio, e che qui si ricongiunge al meandro da cui siamo appena arrivati. Armiamo su di un masso incastrato, spit 7-8 metri più in basso e Angelo è nuovamente sul fondo del meandro, a valle del laghetto. Noi purtroppo, abbiamo lasciato gli attrezzi molto più indietro e non possiamo far altro che guardarlo allontanarsi. Ma l'attesa non sarà lunga e dopo dieci minuti lo sentiamo tornare cantando. Ci dirà, in cambio della promessa di un paio di birre, di essere andato avanti per una cinquantina di metri fin sull'orlo di un P20 molto grande di cui con l'elettrico un po' scarico, non è riuscito a vedere bene il fondo. Ma quel che conta è che la grotta continua alla grande e soprattutto che per il momento le strettoie sembrano finite.

Sono già passate le 22 per cui partiamo come schegge verso l'uscita. A mezzanotte e mezza siamo a -220 dove raggiungiamo Sandro e Giovanna che stanno risalendo. Da qui in poi ci sono praticamente solo pozzi per cui non vai la pena di procedere tutti attaccati. Li lasciamo andare avanti e ne approfittiamo per una sosta di un'oretta. Alle cinque di Domenica mattina siamo tutti fuori, dopo quasi 20 ore di grotta.

Sapremo poi che Loris era entrato da solo Sabato pomeriggio ma che a -220 non era poi riuscito a trovare il passaggio nella frana, pur essendoci già passato varie volte. Dopo un'ora di vani sforzi e a corto di carburo aveva mestamente deciso di uscire. Peccato per lui, sarà per la prossima volta.

P. Rigoni