Prologo
Pioveva. Il profilo dei monti si confondeva dietro le linee fitte della pioggia battente. La terra, sotto la spessa coltre di erbe alte, era come una spugna viva. Si poteva quasi sentirne il rumore. La sorgente che cercavamo doveva trovarsi proprio al di là di un piccolo dosso, poco a monte della vecchia fontana abbandonata. Un rigagnolo, sassi sparsi e, sotto una scaffa di roccia, gli stipiti e l’architrave posti dalla mano dell’uomo. Una data: 1614. Più in basso, a sud, la conca di Asiago sembrava ancora più lontana, avvolta da una nebbia sottile che ne mescolava i colori. Bagnati fradici, ci siamo fermati a guardare, sentendo l’acqua lungo la schiena. Acqua. Sopra, intorno, dentro e sotto di noi. Eppure, quanti secoli di fatica per trattenere quell’acqua che cade dal cielo, per catturare quella che sgorga dalla terra ... per dissetare uomini donne bambini soldati animali, per cucinare cibi, per lavarsi e per lavare cose, per far girare ruote di mulini per macinare pestare battere metalli follare panni per vestirsi segare tronchi per costruire, per conciare pelli, per fare ghiaccio ... Per vivere.
Sapevamo bene dove andava tutta l’acqua che cade dal cielo... nell’altro mondo, sotto al mondo, dove solo noi speleologi abbiamo accesso, dove il buio è rotto solo dal suono delle gocce, delle cascate, dal fremito di laghetti cristallini che si spande tra cunicoli, sale, pozzi. E dove va, una volta tornata alla luce del sole ... chiare, fresche e dolci acque ... che lasciate libere viaggiano fino al mare.
E quanta fatica per riportarla su, da tutti noi... Per vivere.