Vulnerabilità dell'acquifero carsico dell'Altopiano

Ugo Sauro (Dipartimento di Geografia dell'Università di Padova)

Relativamente alla vulnerabilità dell'acquifero carsico dell'Altopiano, alcune indicazioni sono venute dalle esperienze eseguite con traccianti alcuni anni fa. Dopo 24 ore dall'immissione c'era, sia pure in quantità appena rilevabili, presenza di tracciante, cioè di fluoresceina nell'acqua.

L'alta velocità del deflusso si spiega probabilmente con lo sviluppo di un sistema di condotte relativamente elevato: circa 1.000 m di dislivello sul circa 10 km di distanza planimetrica. C'è stato inoltre un acquazzone, che si è verificato poco dopo la posa del tracciante, che ha aiutato senza dubbio questo deflusso veloce.

Il massimo della concentrazione si raggiunge, comunque, parecchi giorni dopo, almeno nei tluocaptori, il che potrebbe voler dire che c'è stato sì un deflusso veloce, ma che si è verificata una certa dispersione nel massiccio. Ciò si spiega anche con la presenza di una serie di condotte più vecchie e forse dirette verso l'antico sistema di deflusso: quindi può essere che ci siano delle diffluenze sotterranee che portano le acque prima verso nord e poi, dopo le catture, verso le sorgenti attuali.

Qui vediamo la planimetria del sistema carsico della Bigonda che è il più grosso sistema esplorato, almeno come sviluppo planimetrico, nell'ambito dell'Altopiano di questa unità morfocarsica. E' un sistema tipicamente epifreatico legato al vecchio deflusso verso la valle del Brenta.

Chi ha visto le diapositive di Busellato, ha potuto osservare le morfologie tipiche di questi sistemi, Calgeron e Bigonda, e come queste morfologie siano tipicamente freatiche o epifreatiche e come tali sistemi funzionino ancora, almeno in certe occasioni, come troppi pieni e come si stiano verificando fenomeni di cattura sotterranea.

Tornando alle diapositive, guardiamo un momento l'Altopiano nell'ambito delle Prealpi Venete: qui sono schematizzati alcuni dei lineamenti morfologici, siano essi morfostrutture, siano essi relitti di un'evoluzione morfologica del passato.

Qui osserviamo l'Altopiano di Asiago schematizzato: nella parte centrale, un più in alto, il colore giallo evidenzia relitti di vecchie superfici d'erosione, mentre il tratteggio nero a segno grosso sta ad indicare relitti di un sistema di paleovalli incarsite che si sono trasformate attualmente In valli secche.

In questa immagine è possibile riconoscere, nell'ambito del sistema degli altopiani Vicentini e quindi In particolare nell'ambito dei Sette Comuni e del gruppo del monte Grappa, un sistema di paleovalli relitte che possono essersi evolute a partire da un sistema idroqrafico attivo nel Terziario superiore.

C'è da presumere che, in un primo momento, la morfostruttura che ha dato origine all'Altopiano, e che ieri ha illustrato Dario Zampieri, dal punto di vista geologico annuale può essere paragonata ad una struttura delimitata sia a nord che a sud da faglie di tipo inverso e da sovrascorrimenti; quindi una struttura di tipo compressivo, legata ad una compressione in senso nord - sud in cui una sorta di cuneo si va innalzando, proprio per questo fenomeno di tipo compressivo.

In primo momento, possiamo pensare che prima dell'individuazione di questo cuneo, la struttura dell'Altopiano fosse una sorta di anticlinale asimmetrica, con l'asse spostato verso l'attuale margine sud dell'Altopiano, quindi, con una sorta di grande versante anticlinale che pendeva verso nord, con I'idrografia nelle rocce terziarie, che appunto era diretta prevalentemente verso nord in seguito ad raccorciamento crostale.

Quindi, alla continuazione di questa spinta, in senso nord - sud, si è Individuata un'altra struttura a nord, prima del tipo faglia inversa e poi sovrascorrimento, che ha portato ad un graduale sollevamento della parete nord, in seguito, il sollevamento della parte nord è prevalso rispetto a quello della parte sud, per cui si è individuata una struttura centrale, una sorta di sinclinale centrale.

Successivamente, tutta la struttura si è accorciata con sollevamento inizialmente prevalente nella parte sud, poi nella parte nord. In questo tempo, l'idrografia superficiale portava all'erosione progressiva delle rocce terziarie e cretacee, poco impermeabili, poco carsificabili, facendo affiorare le rocce più carsificabili di età giurassica. In tal modo, I'idrografia superficiale veniva in un certo senso ereditata.

Le attuali valli secche che troviamo nell'Altopiano sarebbero, quindi, I relitti di una paleoidrografia terziaria, fatto che trova qualche conferma anche da ritrovamenti di tipo paleontologico; ad esempio, un dente di mastodonte probabilmente del Pliocene superiore o Villafranchiano, rinvenuto in un deposito conglomeratico che potrebbe essersi deposto nell'ambito di uno di questi segmenti vallivi quando il deflusso era appunto verso nord o, perlomeno, verso la parte centrale dell'Altopiano.

Tale incarsimento ha, pertanto, prodotto una conservazione di queste forme, che sono ben preservate soprattutto nella porzione inferiore dell'Altopiano. La parte superiore invece, in seguito al sollevamento, ha poi sperimentato tutti i fenomeni di glaciazione del Pleistocene che hanno cancellato gran parte delle forme relitte.

In questa immagine vediamo, più in dettaglio, un ingrandimento della porzione meridionale e centrale dell'Altopiano: la parte settentrionale non è ben rappresentata. Nella parte bassa della diapositiva vediamo indicata, con dei cunei molto lunghi, la scarpata, la flessura pedemontana e la grande scarpata tettonica.

Nell'Altopiano meridionale, invece, c'è una rete molto fitta di valli secche ereditate appunto da una paleoidrografia diretta presumibilmente verso nord, che si riconosce forse ancor meglio nel Grappa, che rappresenta la continuazione dell'Altopiano.

Di fatto, era collegata all'Altopiano sino all'incisione dell'ultimo tratto della valle del Brenta che sicuramente si è verificata nel Pleistocene In relazione alle glaciazioni delle valli. In quest'altra diapositiva notiamo la scarpata che segna il passaggio tra l'Altopiano superiore e la conca mediana dello stesso. In seguito al sollevamento e alla glaciazione pleistocenica, si è verificata l'incisione di profondi canyons, ancora attivi, che drenano parte delle acque superficiali dell'Altopiano, soprattutto nei momenti di forti precipitazioni o di disgelo e sono diretti verso le scarpate laterali. Fortunatamente, proprio in rapporto a questa evoluzione morfologica, la conca mediana ha conservato una coperlura di rocce del cretaceo Inferiore, costituiste dal Biancone, che hanno il carattere di roccia filtro.

Quindi, come ha detto precedentemente Frigo, questa roccia limita l'impano dell'urbanizzazione sull'acquifero carsico sotterraneo poiché filtra l'acqua, salvo dove I reflui delle aree urbanizzate arrivano direttamente nel corsi d'acqua, in particolare il Ghelpach, e negli inghiottitoi, dove l'immissione dell'acqua nell'acquifero sotterraneo è decisamente rapida. Anticamente il Brenta non era diretto verso Bassano bensì verso la conca di Feltre, attraverso la paleovalle di Fastro e Arsi.

Nella diapositiva vediamo, sulla sinistra, la grande scarpata d'erosione che dall'Altopiano porta verso il fondo della valle del Brenta mentre nella parte centrale notiamo sospesa di circa 150 m rispetto al fondovalle attuale del Brenta, quella paleovalle relitta e anche incarsita, pur essendoci delle coperture quaternarie, della valle di Fastro che porta verso la conca di Feltre.

Quindi, il paleobrenta era diretto verso est e non defluiva verso Bassano.

L'apertura dell'ultimo tratto della valle del Brenta attuale è avvenuto presumibilmente nel Pleistocene, in relazione alle azioni delle lingue glaciali, che hanno favorito l'apertura di questa via più breve di deflusso verso la pianura. Di fatto. col livello di base, a monte di questo vecchio sistema idrografico, si possono connettere qli antichi sistemi sorgentizi, quello del Calgeron e della Bigonda, che sono alti 150-200 m rispetto al fondovalle attuale.

Pertanto, sono perfettamente correlabili col paleoprofilo vallivo che doveva esistere allora e, di fatto, i due vecchi sistemi dovevano essere di tipo valchiusano e quindi in condizioni freatiche o epifreatiche, analoghi a quelli che si sono sviluppati in seguito, proprio all'apertura di questa nuova via verso l'alta pianura.

C'è chi in passato collegava al Pleistocene medio questa paleoldrografia. Forse dobbiamo risalire anche un po' più indietro, al Pleistocene inferiore, perché questi sistemi, come risulta anche dall'esplorazione speleologica recente, sono ben evoluti.

Tenendo conto della quantità d'acqua che defluisce da tali sistemi, l'evoluzione può essere considerata anche abbastanza rapida.

Comunque, in genere, quando si trovano dati cronologici sull'evoluzione del carsismo, molto spesso ci si sorprende perché l'età risulta superiore a quella che si era supposta.

Quindi io sarei, pur non disponendo di elementi cronologici, più portato a ritenere del Pleistocene inferiore l'apertura di questa nuova via verso la pianura, che è la bassa valle del Brenta.

Vicino al gruppo di Brenta, che doveva rappresentare una continuazione prima dell'apertura della bassa valle del Brenta con l'Altopiano di Asiago, ci sono anche valli secche sospese.

Rappresentano quindi una morfologia relitta, sospesa sulle grandi scarpate periferiche; in questo reticolo di valli secche, alcune vengono catturate da nuove valli di scarpata.

Questa immagine raffigura la valle delle Mure, che è stata recentemente catturata nella sua parte alta da valli di scarpata, che sono particolarmente attive date le forti pendenze.

A questo punto, direi che una breve presentazione l'abbiamo data tra Giovanni Frigo e me.

Scusate se io ho un po' approfondito e sono tornato indietro sul discorso di quella che è stata l'evoluzione paleogeografica dell'Altopiano e del sistema carsico.

E' chiaro che molti discorsi possono essere ulteriormente approfonditi e sviluppati. Non so, se a questo punto, sia il caso di introdurre un primo dibattito oppure di passare la voce addirittura ai prossimi relatori e rimandare il dibattito alla fine.